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Il non patrimoniale è un danno unitario



Le Sezioni Unite della Corte di cassazione l’11 novembre con la sentenza n.26972, hanno finalmente reso una definizione unitaria della nozione di “danno non patrimoniale” superando i rompicapo delle distinzioni tra danni esistenziali e danni morali, ed evitando le possibilità di duplicazioni risarcitorie. In sintesi, ogni sofferenza morale,ogni pregiudizio di interessi inerenti la persona privi di rilevanza economica, integrano un danno non patrimoniale.
In primo luogo la Cassazione ha ribadito che il danno non patrimoniale è risarcibile non solo nei casi previsti dalla legge (Codice civile, articolo 2509) – sia in materia di responsabilità contrattuale sia extra-contrattuale – ma anche in quei casi (e però solo in quelli) in cui il fatto illecito abbia leso in modo grave un diritto costituzionalmente inviolabile della persona. Viceversa, a nulla varrebbe invocare diritti “del tutto immaginari, come il diritto alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla serenità”.
In secondo luogo, la sentenza afferma che il danno non patrimoniale costituisce una categoria unitaria, al cui interno è possibile individuare delle sottocategorie solo a scopo descrittivo: le formule “danno biologico”, “danno esistenziale”, “danno estetico”, “danno morale”, “danno alla vita di relazione”, “danno da perdita parentale” non individuano cioè dei diversi tipi di danno, ma descrivono solo possibili tipi di pregiudizio non patrimoniale. Di qui le Sezioni Unite colgono l’occasione per riaffermare il principio secondo cui queste diverse “etichette” mai possono essere strumentalizzate per incrementare le poste di danno e come mezzo di duplicazione del risarcimento a fronte di uno stesso pregiudizio. E’ una specificazione assai importante, soprattutto alla luce della tendenza sempre più netta nel settore della responsabilità medica verso un’estensione della dimensione risarcitoria, sia con l’ampliamento dei soggetti risarcibili, sia con la proliferazione di diverse categorie di danno di dubbia autonomia ontologica.
Come corollario, nel danno da lesioni personali deve censurarsi la prassi di liquidare sia il danno reale sia quello biologico; stesse conclusioni per la prassi di liquidare il danno morale separatamente da quello da perdita del rapporto parentale in caso di morte di un familiare.
Infine, la Cassazione critica un filone giurisprudenziale, soprattutto dei giudici di pace, in cui si è riconosciuto ampio spazio a ridicole ipotesi di danno esistenziale. Davvero curioso ripercorrere i casi menzionati dalle Sezioni Unite, due per tutti: la rottura del tacco di una scarpa da sposa, il mancato godimento della partita di calcio per televisione determinato dal black-out elettrico.
In ordine alla prova del danno, le Sezioni Unite respingono l’impostazione secondo cui nei casi di lesione ai valori della persona il danno potrebbe configurarsi in re ipsa. Riconoscono invece che la prova possa essere fornita per presunzioni semplici, fermo restando l’onere del soggetto leso di provare gli elementi di fatto dai quali desumere l’esistenza e l’entità del pregiudizio. In tema di quantificazione del danno può assumere rilevanza (ma non necessariamente) la distinzione tra danno biologico e non: mentre nel primo caso perlopiù si ricorre a un accertamento medico-legale – che pure non è affatto strumento necessario – nel secondo caso la prova presuntiva finisce con l’assumere un ruolo prevalente, spesso esclusivo.
Un breve cenno di diritto comparato. La semplificazione proposta dalla Cassazione appare in linea anche con la bipartizione anglosassone tra danno finanziario e non (non financial / non economic damages). Anche qui la categoria generale di non ecomomic damages comprende diversi sottotipi quali pain and suffering, loss of companionship, loss of consortium, ma senza che questo possa comportare una duplicazione risarcitoria. Anzi, negli Usa si assiste sempre più a una tendenza che consiste nell’introduzione per legge di tetti massimi (cap) per limitare il risarcimento del danno non patrimoniale. Al contempo, ricordiamo che nei casi in cui il soggetto leso sia stato vittima di un comportamento particolarmente odioso, i giudici americani e inglesi possono utilizzare lo strumento dei danni punitivi, da noi ritenuto incostituzionale. Nei fatti, tuttavia, anche nei sistemi di common law il ricorso ai punitive damages è limitato a casi eccezionali e per importi contenuti.

art. de “Il Sole 24 Ore” di domenica 4 gennaio 2009